…. un giorno, d’improvviso, mi ricordai che molti anni prima avevo posseduto un muro.

Non sapevo se e dove fosse ancora in piedi, ma resisteva di un buffo eroismo nella memoria, non ricordavo la casa intorno, nè la strada che vi conduceva, nè la città.

La selezione naturale del sopravvivere aveva ritagliato via dal mondo quel frammento incongruo di pietra e intonaco grosso, una parete bianca, nuda, spoglia, con una piccola macchia azzurra al centro.

La memoria è una bestia feroce che sanguina, a volte generosa, per cui strizzando gli occhi dentro a quel ricordo avresti potuto vedere due microscopiche macchie bianche all’interno di quella macchia azzurra, al centro di quella parete bianca, nel bel mezzo del nulla di un ricordo.

Erano due sorrisi.

Due.

Fottuti.

Sorrisi.

Da cartolina.

Con un briciolo di curiosità in più ti saresti potuto prendere il lusso di accarezzare i bordi sbiaditi di quella cartolina, staccarla dal muro, girarla con un mormorìo di cautela e un accenno di brivido che dal ventre salisse alla sinistra del petto, e leggervi piano, assaporando tutte le lacrime di quel tempo passato a sotterrarne il ricordo:

“Ciudad Habana, Cuba. Familia cubana del barrio de Jaimanitas. Ecco, Paul, vorrei invecchiare così, con tutti i denti, il sorriso fra i denti e un amico che mi guarda le spalle”.

Due.

Sorrisi.

E un muro che non sapevo più di possedere.

  
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Ma stai tranquilla
non è niente
è solo vita che entra dentro
il fuoco che ti brucia il sangue
quella è l’anima
  
(Muzic: Negrita, Hemingway)