Se mi regali un po’ del tuo tempo ti regalo una Storia. Non ridere. E’ notte, e sai che con le tenebre non si scherza. Oppure, d’accordo ridi, è un buon inizio.

Pisa la sogno ancora di notte, a volte. Avevo ventanni e la vita che bruciava dentro, una bicicletta rossa con i freni a bacchetta e una casa in affitto a uno sputo dal Campo dei Miracoli. La piazza nelle notti d’inverno galleggia su uno strato di nebbia adagiata al suolo, bassa da coprire le caviglie appena, se ti piacciono i particolari in qualche angolo nascosto puoi scoprire le Ombre dipinte sui muri. Vernice nera a disegnare , che so, un uomo con un curioso cappello che sta aprendo il lucchetto della sua bicicletta, un attimo di vita che non ritroverai alla luce del giorno. Perché sono Ombre, solo per chi sa guardare.

Ho un ricordo che brucia per ogni singolo istante dei miei ventanni a Pisa.
Questa è la Storia di una sera di pioggia, e di quattro amici, e di un incontro, e di ciò che è successo, quella notte, per sempre.

Nei vicoli stretti del borgo medievale si nascondeva astuto un eroico cineclub, l’Arsenale, un paese di balocchi dove, esibendo una segretissima tessera con la faccia di James Dean, potevi scroccare fino a quatto film per volta pagando un unico biglietto. Cose ghiotte. Retrospettive impensabili, film rarissimi, le occhiate complici dei gestori che staccavano i biglietti e correvano in sala proiezione, il senso di appartenenza, tutto senza prezzo.

Ho un milione di ricordi, per anni ci sono andato due tre volte alla settimana, tre quattro film alla volta, amavo la luce sullo schermo, amavo starci da solo, imparare, sussultare al buio, assorbire quelle meraviglie. L’anima stava crescendo e tutto passava dagli occhi.

Quella sera pioveva. Stavo scoprendo il cinema di Wenders, da quando uno dei miei amici, Stè, mi aveva detto, con amore, come solo lui sapeva fare, – non conosci Wim Wenders? Devi vedere Paris, Texas -. Avevamo abitato insieme, io e Stè, per un breve periodo, lui leggeva le mie poesie e mi lasciava sul tavolo dei lunghissimi commenti scritti a matita, mi svelava la sua anima sottolineando le mie parole, lui che scriveva cose bellissime e poi le buttava via. Mi ha insegnato ad abbandonare le parole. Ma questa è un’altra storia.

Quella sera la discussione sulla piega che avrebbe preso la notte era passata per la domanda di riserva, – Che film danno all’Arsenale?- nella memoria questa è la voce di Bobo, che fuma MS dure, la cosa più puzzolente dell’universo. Siamo sempre insieme, siamo amici, io però sono snob e fumo le Camel senza filtro, me lo posso permettere perché non ho il vizio, faccio finta, non aspiro, come Woody Allen, sai. Poi c’è Jena, il nome gliel’ho dato io, lui ne ha uno che non ricordo più, è che mi piace trovare un bel nome ai miei amici, Jena non fuma, cioè se ha sfiga con una donna entra in una tabaccheria e fa il numero: – mi dia un pacchetto di sigarette – e il tabaccaio: – che marca – e lui: – una qualsiasi -, poi entra in un pub e si ubriaca. Sempre così. E poi c’è Roberto, detto Tapiro, lui compra il fumo dai fratelli neri dietro alla mensa universitaria. Roba tipo Pall Mall, Marlboro turche, Lucky Strike che arrivano dio solo sa da dove. Stiamo fumando e Bobo mi guarda, aspetta. Io conosco il programma dell’Arsenale a memoria, e dico: – Danno un film di Wenders, si chiama Lampi sull’Acqua -, Bobo mi conosce, sorride, – Andiamo no? – , Jena fa un po’ il muso, Tapi non se lo perderebbe per niente al mondo. E poi piove. E abbiamo ventanni e neanche la più pallida idea di cosa sia un ombrello, o il futuro. Piove, bene ci bagneremo. Funziona così.

L’Arsenale è deserto, c’è una coppietta in un angolo, un uomo alto e una biondina pallida. E, sorpresa sorpresa, l’uomo alto è proprio Stè, cazzo. Non lo vedo da mesi. Sistemo la truppa in ordine sparso sui sedili di velluto e mi fiondo a salutare il mio amico. Il silenzio è bellissimo quando ci incrociamo gli sguardi. E, ascolta, mi accorgo che è imbarazzato. So cos’è. E’ scomparso dal mondo, e sa che mi manca, l’ho capito in un lampo. Imparerò col tempo a perdere gli amici, dicono che è la vita. Ma ancora non è il momento. Gli chiedo come sta e qualcosa sul film che verrà proiettato, lui dice che non ne sa nulla, la biondina ci guarda curiosa, Stè non ci presenta, e anche stavolta so il perché, si vergogna, lei è solo una di passaggio, non vale abbastanza da trascurare gli amici che siamo, questo mi dice Stè, in silenzio e a occhi bassi. Ma siamo fratelli per sempre e lui sa che capisco.

Poi, ascolta, lui fa una cosa incredibile, chiede alla biondina una penna, lei dice che ha solo la matita per gli occhi, fra le dita di Stè compare per magia un pezzetto di carta stropicciata e un mozzicone di matita nera,

scrive,

– come noi d’altra parte
anche il fuoco annega
nella cenere dei suoi pensieri
come noi d’altra parte –

scrive e mi dà il foglietto, sono in piedi davanti a lui, piego il foglietto in quattro e lo infilo in tasca, e in quel momento incrocio lo sguardo di lei, e per la prima a volta al mondo mi accorgo che qualcuno ci sta guardando, me e Stè, come se fossimo due alieni. E’ una sensazione perfetta, un cristallo. Questo istante mi servirà per sempre, penso.

Il film sta iniziando e io raggiungo la truppa.

Ora la Storia preme, come una lama affilata puntata allo sterno, perché a volte il Cinema non è una cosa da bambini, e il film che sta scorrendo veloce sullo schermo nessuno di noi lo dimenticherà mai più.

Lampi sull’acqua, è un film che parla dell’amicizia, della morte, del cinema, del fumo delle sigarette, del cancro, dell’amore per gli amici che muoiono.

Immagina di avere un amico che sta morendo di cancro. Non uno, di cancro, ma due. Polmoni e cervello. Morirà. Lui lo sa e tu lo sai. Immagina che lui è Nicholas Ray, il regista di Gioventù bruciata, quel film con James Dean, ribellesenzacausa è il titolo americano, ma che c’entra,

immagina che tu sei Wim Wenders, il miglior amico di Nick, Nick che sta morendo di cancro,

immagina che Nick ti ha chiesto di fare un film che parli di lui che sta morendo, vuole fare testamento, semplice, è uomo di cinema e lo farà nell’unico modo che conosce, davanti a una cinepresa. Vuole morire davanti alla cinepresa e vuole il tuo amore, ti vuole accanto, con amore a filmare la sua morte.

Ecco, quel film è questo.

E io lo so che è incredibile. Nessuno era preparato a una cosa del genere, a un’idea tanto grande. Il primo tempo passa lentamente, paralizzati davanti allo schermo con l’unico pensiero –non è possibile-, mentre i due amici sullo schermo si incontrano, parlano della vita, della morte, e Nick fuma e tossisce e sputa sangue davanti alla cinepresa, e Wim, l’amico, si vede, muore piano insieme a lui, almeno un po’. Muore, piano, anche lui.

Finisce il primo tempo, perché Dio esiste ed ha una pietà immensa. Tutti fuori sotto la pioggia, allora. Pausa. Accendiamo le sigarette in silenzio. Nessuno ha il coraggio di parlare. Dopo un minuto arriva Stè, si accende una sigaretta anche lui, gli chiedo se quello che sta succedendo sullo schermo sia tutto vero, Stè è smarrito. Restiamo in silenzio.

Ascolta, quel film è bellissimo. E’ il segno di un amore immenso. I dialoghi fra i due amici sono belli da impazzire, da impazzire, addirittura fino al punto in cui Nick decide e discute, tossendo e sputando sangue, la scena finale, si sceglie la sequenza del proprio funerale,

l’urna con le ceneri del morto sistemata su una giunca cinese colma di fiori, senza nessun altro a bordo, che discende il fiume Hudson verso il mare, e sulla giunca una cinepresa libera di ruotare su sé stessa, che filma, abbandonata e libera,

e infine una ripresa a volo d’uccello, radente sull’acqua,

lampi di luce sull’acqua, lampi sull’acqua.

Questa è la Storia di quella sera di pioggia, un piccolo ricordo.

Stamattina ho trovato il tuo biglietto – Vado a Barcellona, il papà di Maria Josè se muere, vuole parlarmi un’ultima volta. –

Vorrei dirti che hai fatto una cosa bellissima, andare, parlargli.

Vorrei dirtelo.

 

le segretissime tessere