C’è un tizio che entra in un bar, fuori c’è un’afa intollerabile, e chiede un chinotto.

Il tempo minimo necessario e il rimedio alla sete è già lì sul bancone d’acciaio lucido, da dissetarsi anche solo con gli occhi per la brina sul bicchiere, per i colori e il profumo, per la soddisfazione in anticipo di feroce vendetta contro la sete.

Ma. La memoria non funziona così. Non si può. Neanche pagando. –Buongiorno, vorrei quel ricordo tale o talaltro, di quel giorno e di quel che è successo, mi raccomando fresco, scintillante e con tutte le goccioline di ghiaccio al posto giusto, e grazie-. Non funziona mai così.

Sto cercando un libro che non ritrovo più. Dovrei averlo, nascosto e trascurato dietro qualche pila di altri suoi compagni di sventura, fratelli d’incuria. Ma non lo trovo. Ci deve essere, ma il soqquadro della casa, delle tre librerie, degli armadi stipati mi dice che no. Non si trova.

Ho il vago sospetto che se ne sia andato, forse ha cambiato casa, forse avrei potuto regalarlo, e meglio avrei fatto che smarrirlo per questa incuria che adesso mi fa infuriare.

Mi serve una vendetta, su me stesso.

Allora, entro nel bar della memoria perduta e ordino il ricordo della storia di come lo incontrai, quel piccolo libro dall’apparenza meno che insignificante.

E sono immeritatamente fortunato, perché il ricordo è tutto lì, nella sua ampolla che scintilla, magari manca qualcosa, il giorno esatto, il prima o il dopo, il numero di biforcazioni che ho attraversato per esistere e sopravvivere e arrivare qui, alla consapevolezza dell’assenza. Ma ora ricordo.

Pisa ancora me la sogno di notte, ci vivevo da studente, e una sostanziosa parte del tempo da studente era impiegato con cura per cose che non avevano a che fare con lo studio.

Una di queste era: le librerie che vendevano libri usati. Un mercato fiorente per una popolazione di studenti senza il becco di un quattrino. Si vendeva di tutto. E io compravo di tutto.

Probabilmente ho il ricordo preciso della sensazione di tutti i libri che comprai, delle scoperte, il primo libro a fumetti di Valentina di Crepax, la posta di anni fatta all’unica copia di un libro di saggi sul nome della rosa, credo stampata solo per me, in quella libreria del corso, ricordo perfino lo scaffale e tutte le volte che presi in mano quel libro senza comprarlo, facendo sempre due conti mentali coi soldi in tasca e con la lista.

La lista. Merita una parentesi.

Se sei un cercatore di tesori a un certo punto della professione devi avere una lista. Se sei in un banchetto all’aperto e hai davanti una pila di tre metri di Urania usati, impilati uno sull’altro non puoi esaminarli uno a uno, pieghi la testa di traverso e scorri i numeri, velocemente e senza destare sospetti, sei fortunato se i numeri sono in ordine, 843 – La guida galattica degli autostoppisti, 839 – Titano, o La rosa e il gladio di Asterix, o quel numero introvabile de La Compagnia della Forca.

Nella lista ci sono i numeri introvabili.

Dovresti saperla a memoria perché comprare libri usati, e fumetti, è un gioco d’astuzia.

Se ti presenti col volumetto che hai scovato al venditore devi celare la soddisfazione, devi ostentare indifferenza, perché lui, il venditore, è il tuo nemico naturale.

Lui fa il prezzo –a occhio-. Un occhio guarda te, ti valuta, ti indovina i soldi in tasca, ti classifica: studente uguale pezzente. L’altro occhio valuta il libro che vorresti comprare, polveroso, indecente, esecrabile. Il prezzo è una media scientifica di questo processo mentale di disprezzo, e alla fine tutti vincono, con una transazione di poche lire. Se te la sai giocare, se sai fingere, se sai stare al gioco.

Se il venditore ti ha visto tirar fuori la lista sei fottuto. Sa che il volumetto che gli porgi stava nella tua lista e il prezzo a occhio si adegua. Vince lui e tu perdi qualche lira più del dovuto.

La lista va imparata a memoria, sono le basi.

Nel giro di librerie e banchetti che praticavo c’era, al mercato della frutta, la mia vittima preferita.

Una signora sola, mai sposata, avanti negli anni, una sottoproletaria di quel giro di affari che aveva un banchetto minuscolo, intorno al quale ronzavano delle altre signore pensionate e proletarie, che leggevano e riportavano quel che avevano letto.

La signora venditrice, coi suoi occhiali spessi praticava, come infima forma di mercato, anche il baratto. Mi riporti due Liala puoi prenderne un altro senza pagare. Io naturalmente compravo, e pagavo con moneta sonante.

Letteralmente.

Accumulavo solo soldi spicci, me ne riempivo le tasche, indossavo dei jeans strappati e andavo a fare la mia recita.

Nel caso di qualche scoperta golosa iniziava la sceneggiata, chiedevo il prezzo e alla risposta -1000 lire- facevo una faccia desolata, credibile, infelice, poi mi frugavo e tiravo fuori la cifra rimediandola da almeno tre tasche diverse, e mi portavo via il tesoro sotto l’onta di un disprezzo tangibile.

Più miserabile dei miserabili.

Quella mattina, che ricordo splendente di sole, un sole bellissimo come questo ricordo che possiedo ancora, feci il solito giro e mentre mi avvicinavo da lontano con la mia bicicletta rossa lo vidi.

Da lontano lo vidi.

Troneggiava, in verticale come un monolite, come l’arca dell’alleanza, sono sicuro che emanasse una soffusa luce dorata.

Era la cosa più bella che si fosse mai vista su quel banco di misericordia.

Il Signore degli Anelli. Edizione Rusconi. La verde Terra di Mezzo in copertina. Prezzo in libreria Lire quarantaseimila.

Una chimera impensabile e inavvicinabile. Due giri intorno con la bici prima di calmare la tensione interiore e le palpitazioni impazzite.

Professionalità nell’accostare e nel fingere distratta indifferenza. Professionalità nel dominare la paura, nel cercare cose altre per accorgermi con sorpresa e curiosità di quello strano libro perfetto e luminescente.

Come se non lo conoscessi, come se ne ignorassi il valore.

Prima di prenderlo in mano per la prima volta, sotto lo sguardo indagatore della miope venditrice. Prima di aprirlo per la prima volta sapendo dove andare, all’ultima pagina a cercare la mappa. La mappa della Terra di Mezzo, gadget pauroso incluso nel libro. Come puoi leggere di Frodo e dell’Anello senza aprire la mappa attaccata all’ultima pagina? Conoscevo bene quel libro, avevo tentato mille volte di rubarlo a uno degli amici che lo possedeva, vanamente. Non me lo sarei mai potuto permettere nuovo in libreria.

Un libro da possedere. Il Mio Tesoro.

La mappa era perfetta, neanche uno strappo. Il libro era in condizioni perfette. Neanche il minimo scrupolo di coscienza per pensare un istante al motivo per cui uno scellerato qualcuno dovrebbe potersi disfare di un simile tesoro.

Un respiro forte, puramente interiore, e poi la domanda, con voce tremebonda, alla miserabile venditrice.

-Questo quanto costa?-

E lei, che aveva osservato tutta la scena e si godeva già la mia terribile delusione da studente uguale pezzente: -E deh! Quello l’è caro, viene quattordici-. La sparò grossa, grossissima per il suo giro d’affari, per l’entità del suo mercato. Sapeva che mi avrebbe dato un dolore, ma lo diceva con gli occhi, gli affari sono affari bello mio, levati dalla strada se non vuoi morire.

Io, nel mio cuore, piangevo di gioia. Un prezzo da non credere, un colpo di fortuna, un incrocio di destini, una biforcazione.

Ci misi un tempo infinito a comporre la cifra estraendo dei pezzi da mille da ogni dove. Recitai una sofferenza professionale, dignitosa, palpabile. Mi stavo cavando quattordicimila gocce di sangue.

Pagai. E presi il mio tesoro.

E poi successe una cosa. Per la brama di tesori che non si consuma mai, per la fame della parola scritta, perché ero un professionista, con la coda dell’occhio lo vidi.

Un piccolo libro dall’apparenza insignificante. Un’edizione miserrima.

Borges, Finzioni.

Non conoscevo il libro e poco l’autore. Era il giorno in cui avrei incontrato il vecchio cieco, per sempre, e il suo piccolo formidabile libro di racconti.

Chiesi, non pago dell’umiliazione, prendendolo in mano: -e questo?-

La venditrice al colmo dell’empatìa per poco non scoppiò a piangere: – E deh! Quello è gratis-.

Fine della recita, e del ricordo.

Da soli, i titoli di quel libro di racconti, bastano a riempire una vita: Il giardino dei sentieri che si biforcano, La lotteria a Babilonia, La biblioteca di Babele, Funès el memorioso, La forma della spada, La morte e la bussola, Tre versioni di Giuda.

Con l’idea che avrei potuto snocciolarne i titoli, un giorno, e dire a te, a chiunque, bella mia, di quel piccolo libro che dona la felicità e di come quel mattino lo incontrai alla esatta biforcazione di un qualsiasi sentiero di quel giardino che sarei dovuto diventare.