Era una magàra scalza
il giorno che la vidi,
aveva una curiosità gentile d’occhi
che spezzava di respiri brevi,
come a scusare – pensai –
i colori spenti del suo vestito a fiori
così stonato a quell’autunno freddo.

-È freddo e vento, bambina-
avrei voluto dirle
o almeno un gesto con le mani

probabilmente ero il primo poeta
a guardarla nella vita
perché si accorse del mio sorriso
disarmato e spoglio

e divertita come forse mai
si prese le mie prime parole
che
(per via del maledetto vecchio che ormai sono)
ho scordato

ma se ricordo
ne ricordo il senso
come a deporle foglie fresche ai piedi
e la forma, soffocata in gola,
di un legno duro nodoso levigato.

Questo fu di novembre.

Se poi pensate,
eventualmente,
che sia facile
spacciare due ricordi
per un poco d’oro e pane

-per voi poeti fingitori-
ho sentito dire nei salotti
fra un tintinnìo di festa
e un sorriso da troie sazie di brillocchi

se non sapete
com’è facile lusingarvi
docili signore
voi che la fame di bellezza
è appena un lusso.

Dite che per stasera
ho mmmmmmmh
de-me-ri-ta-to?

Rido, perdonate,
sono un vecchio poeta
e mi rimane, forse,
solo il naso adunco
che impreziosisce
l’ombra al muro

no,
davvero non so altro
di quel vestito a fiori
di quelle parole
di quel novembre bianco.