Elettra ha undici anni e gli occhi colmi di oro rosso e luce d’autunno che solo un peccato mortale d’orgoglio potrebbe scambiare per memoria di pianto. La sua anima sta inconsapevolmente prendendo la forma di una città-labirinto, che le stagioni lentissime dell’infanzia hanno arricchito di nuovi e sorprendenti tesori d’architettura, innestati con una naturalezza divina sul nucleo di granito preistorico della sua coscienza di razza.

Spiego.

Elettra è figlia di streghe. E di ogni strega bisognerebbe narrare con cautela, accennare lievemente al cammino verso la consapevolezza, lento, doloroso, bellissimo, una marcia di vittoria. Chi racconta di streghe è come lo spettatore di un esercizio impossibile di funambolismo, compiuto a piedi nudi su un filo tagliente in una giornata di vento freddo: occhi al cielo e sangue che non cammina, e saperlo, saperlo che neanche Dio interverrà quando verrà il momento, e il cielo ruoterà per legge naturale intorno a quel minuscolo Punto Fisso, e qualcuno rimarrà a bocca aperta, e qualcuno distoglierà gli occhi. Ma tant’è.

L’Anima di una strega è patrimonio di tutte le altre, coscienza di razza quindi. E’ città fiera, Babilonia aperiodica, sterminata, che a guardarla dalle torri più alte farebbe lo smarrimento dei demoni più esperti. L’Anima di una strega è l’Inferno naturale di ogni Inquisitore, coi suoi giardini di melograni a primavera e viaggiatori smarriti attorno alle cinta di mura concentriche che racchiudono il nulla, perché i tesori, gli ori, le Pietre sacre che promettono metamorfosi sono sempre altrove, come se esistesse un cercatore alchemico che abbia mai trovato alcunché, da che il mondo esiste.

Elettra è una strega giovane e inaspettatamente precoce. La Strega madre, di una bellezza medievale e dolorosa, si immerge ormai priva di stupore nella contemplazione della sua piccola in fiore, della naturalezza e autorità insieme con cui, attenti, quasi a passo di danza, Elettra si muove per terre sconosciute da annettere alla cittadella immortale che un giorno, ed è disegno di Dio, regnerà sul mondo, imponendo la dittatura di nuove e sconosciute leggi d’Amore.

Si potrebbe dire ancora tanto, di come Elettra abbia trovato una Via personale e unica per stare nel mondo, e che lei chiama con orgoglio – la Danza sul Filo – convinta com’è, e lo spiega con pazienza alla Madre guerriera, che il vento cieco che scuote il filo si sconfigge col vento della Parola, un uragano del cuore che si fa Storia, la forza uguale e contraria per generare la Stasi, e quindi l’equilibrio. Che solo allora potrà essere danza. E se questa non è consapevolezza.

Elettra ha imparato a raccontare storie.

Meglio. Ha imparato che ama raccontare storie.

È questo il suo contributo alla conoscenza che porta in dono alle altre Sorelle.

Elettra si addormenta e sogna una Storia. Ogni sogno una Storia.

Poi deve raccontare.

E quando Elettra racconta :

– Madre, ho una Storia per te –,

un brivido percorre l’arteria segreta che tutte le streghe del mondo custodiscono con ferocia, e che affonda la sua radice nera impossibile nell’ipotalamo profondo, il regno dove nascono i sogni, e le streghe Sorelle, tutte, si radunano a ricomporre un Cerchio ideale, con gli occhi a brillare di fuoco e ricordi. Chi si intende di streghe conosce l’antico esorcismo del rogo. Inutile dilungarsi.

Elettra ha imparato ad occupare con autorità il centro del Cerchio, a volte le piace evocare negli occhi delle Sorelle amorevoli le pietre antiche di un anfiteatro perduto e indossare vesti candide, spesso, solo con un sorriso, solleva colonne di luce azzurra e oro e accompagna la Storia con dei graziosi movimenti delle mani a muovere l’aria. Elettra ha un elevato senso dello spettacolo, sapete. È anche una bambina di undici anni, allegra e colma d’Amore. Non dimenticatelo mai.

– Madre, ho una Storia per te –

Elettra inizia sempre così la sua Storia. Nel sogno che racconterà Elettra ha otto anni e gli occhi blu come gigli cresciuti su un pianeta sconosciuto. La madre, che la ama fino ai minuscoli intervalli di tempo che separano ciascun respiro dal successivo, e che la sentiva piangere sommessa da quando era appena un’idea racchiusa nel suo grembo prezioso, oggi le ha fatto un dono :

– Ti mostrerò le api, piccola mia –

– Ti voglio bene mamma –

e una vita intera nel silenzio di quei due sorrisi, dopo.

Il vecchio contadino abita la sommità di una collina ventosa e solitaria. La piccola valle intorno è ricoperta di giovani tigli in fiore. È primavera, il che vuol dire che le rughe attorno agli occhi del vecchio sono addolcite dal sole del primo pomeriggio. Elettra si lascia prendere per mano dal contadino e pensa che quelle mani potrebbero dirigere a gesti i movimenti lenti di un campo di girasoli, come un’orchestra. La madre, che li segue a pochi passi di distanza, sorride con delicatezza, come sempre, quando la piccola, in silenzio, le trasmette i suoi pensieri.

– È un uomo che ha conosciuto il mare, mamma, e alla fine ha trovato un approdo, ora però è felice –

– Sì, piccola mia –

Tutto in silenzio alle spalle del vecchio che, ignaro, sorride.

Le arnie hanno un aspetto antico, costruite a mano, il tempo le ha brunite e ha lavorato sulle cerniere di ferro coprendole di una ruggine dura, a scaglie. Anche da lontano si può sentire un ronzìo che inquieta e spaventa. Il vecchio stringe la sua mano a frenare l’impazienza di Elettra, la sua sapienza stabilisce con autorità il limite di prudenza da non oltrepassare. Elettra volge lo sguardo alla madre e sorride.

… in primavera, nel momento di maggior sviluppo, le api allevano nelle celle reali le nuove regine.
Pochi giorni prima che queste nascano la colonia si divide: la vecchia regina insieme alle api più anziane, dopo essersi rimpinzate di miele, sciamano lasciando l’alveare …

Ecco, il vecchio potrebbe dire queste parole alla piccola Elettra, parole di scienza, se vogliamo.

Se questa fosse una storia cartesiana.

E invece, e tutto avviene in un lampo, neanche la fantasia sconfinata della Strega madre sarebbe arrivata a tanto, Elettra abbandona la mano del vecchio e si avvicina alle arnie.

Ed è allora che succede.

La nuvola di api, pronta a sciamare lontano capeggiata dalla vecchia regina, compie un arco ellittico nel cielo, ma il percorso è sempre breve, la regina non ha più volato dal giorno del suo primo, splendido volo nuziale. La nube nera sta cercando un albero vicino sul quale posarsi. Sarà compito delle esploratrici cercare il posto adatto per il nuovo alveare, mentre lo sciame emigrante rimarrà in attesa a guardia della sua regina.

Ed è allora che succede.

La Strega madre sussulta alla naturalezza del gesto che vede compiersi. Elettra solleva le mani aperte al cielo, e, detta così senza paura se si può, si fa albero, rifugio. Che sia coraggio o incoscienza non è dato sapere.

Le api accettano.

Quello che si vedrà in seguito è difficile da narrare.

La piccola Elettra ricoperta di api ronzanti.

Detta così, semplicemente.

Il vecchio è solo un uomo. E non sa. Se fosse lui a raccontare la Storia la direbbe di orrore, ma la Strega madre ha capito, la sente quella minuscola goccia di miele che la regina sta deponendo sulle labbra di Elettra.

Un riconoscimento, una piccola medaglia d’oro al coraggio, da regina a regina.

Ecco è tutto molto semplice. Le api volano via ora con tutta la naturalezza del mondo.

Elettra sorride alla madre. Poi si avvicina al vecchio marinaio e gli affida ancora la mano minuscola, insieme si avviano verso il ritorno, in silenzio.

La Storia potrebbe finire qui, ma davvero ne avete voglia?

Bello sarebbe se, dopo qualche minuto di perfetto silenzio, la piccola Elettra, con tono confidenziale, si rivolgesse al vecchio :

– Se mi dici il tuo nome ti racconto una Storia –

Il vecchio sorride.

– Se mi dici il tuo nome, piccola coraggiosa, ti dirò il mio –

Elettra sorride, davvero divertita.

– Il mio nome è Elettra, sono una Strega, e ho anche un nome segreto –

– Io mi chiamo Ghigo, è il mio nome pellerossa, ne avevo un altro quando andavo per mare, ma l’ho dimenticato –

– Tu sei quello che liberava i pesci dopo averli pescati –

Così, senza punto interrogativo, la piccola Elettra.

– Raccontami la tua Storia, Elettra–

– Tu la conosci già, ma voglio raccontartela lo stesso –

Il vecchio ha tutta l’aria di uno che non smetterà più di sorridere.

La Storia finisce qui, davvero.

Elettra racconterà del sonno inquieto delle giovani regine che sono rimaste nell’alveare. La più bella di tutte sarà quella che uscirà per prima dalla sua culla, appena nata e già inevitabilmente regina. A lei toccherà il compito di aprire le celle di cera che custodiscono il sonno delle altre aspiranti al trono, ed ucciderle.

E’ la Legge.

Poi verrà il volo nuziale. La nuova regina nel mezzo di un cerchio e intorno lo sciame dei cavalieri aspiranti all’amore.

Un torneo.

E un semplice volo. La regina si solleva e punta verso il sole. I cavalieri le sciamano dietro, inebriati dal premio e stillanti coraggio. Ma la giovane regina ha un corpo d’atleta tebano, indistruttibile, e vola sicura fino a che, uno a uno, i piccoli fuchi muoiono di crepacuore.

Ne rimane solo uno. Lo sposo.

Ora ci piace pensare che il bello di questa piccola storia sia il minuscolo passo di consapevolezza compiuto dalla piccola Elettra. Il sonno dell’ape regina e la logica che governa l’Amore. Qualsiasi cosa questo significhi, nel mondo degli uomini.

Elettra comunque ne avrà una sua verità segreta.

Una piccola pietra dai bordi taglienti da aggiungere in un angolo della città-giardino che diventerà la sua Anima.