La cittadella di sapienza della dotta Salamanca disegna nel mondo una trama di edifici, strade, fontane e giardini che potrebbe essere svelata solo da occhi che la percorressero a volo d’uccello. Pensata per essere un mandala segreto di polveri immutate ed ogni colore a imitare un segreto del cielo, accoglie ogni mattina all’alba, col suo abbraccio di mura altissime, un popolo di giovani anime che fiumano e sciamano febbrili, indaffarate, a raccogliere briciole di conoscenza per farne scienza, consapevolezza e futuro. Vite in costruzione, paure leggere come nubi e incapacità di comprendere un disegno che solo un dio sorridente, dall’alto, potrebbe svelare.
E a ben vedere è qui il senso di questa Storia, per me che scrivo e riesco a vedere. Ma non è ancora il tempo.

L’Edificio bianco della Facoltà di Matematica si è spopolato negli anni, forse per l’aspetto severo, per nulla accattivante, della sua architettura scarna, forse per la reverenza intrinseca del sapere cifrato che custodisce, di quella lingua misteriosa che spaventa, con la sua pretesa di calcolare le leggi del mondo per poi nasconderle. Le teste grigie che vivono ogni giorno lo stillicidio della disaffezione, delle belle ragazze coi loro foulard rossi che abbassano gli occhi e tirano dritto, si sono ingegnati stavolta un ennesimo tentativo di amichevolezza, un’apertura al mondo di accattivante divulgazione, un affettuoso monito a che non abbiate paura, giovani, belle ragazze, che la bellezza della scienza vi farà compiuti e ricchi, perché no?
E’ per questo che l’Aula Grande si sta riempiendo, ed è mattina presto, di giovani anime attirate dal miele di un seminario spettacolo che è divenuto in poco tempo sufficientemente noto da imboccare i canali sotterranei del passaparola. “E’ impossibile perderlo”, “devi vederlo”, “parola d’ordine: bellissimo”, mormora qualcuno, e da qui il pienone, e le repliche, e la soddisfazione benevolente delle teste grigie, che sperano, come bambini dagli occhi luccicosi.

Il mormorìo delle anime giovani si affievolisce d’improvviso quando l’uomo fa il suo ingresso dalla porta laterale. Non è per il suo aspetto, né per il carisma che ancora non è dato di conoscere, non per la sua giacca di velluto blu morbida e l’anacronistico panciotto tempestato di api d’oro, non è per i suoi capelli appena spruzzati di grigio, non è il suo sguardo attento.
Lo precede di qualche passo una minuscola bambina, che al solo guardarla, letteralmente diffonde un’onda quieta, implacabile, di silenzio. Il pallore del viso, irreale, la fragilità che traspare, se possibile, dalla decisione del suo passo nel salire i gradini troppo alti della cattedra immensa, il gesto di accomodare i capelli lunghi e neri con un semplice movimento del capo mentre prende posto in piedi, davanti a tutti, nell’angolo estremo di quel pulpito, la serietà di quel piccolo cerimoniale, l’istante in cui sposta con fermezza i suoi impossibili occhi, blu, come gigli cresciuti su un pianeta sconosciuto, dall’uomo che ha preso posto in piedi alla sua sinistra, fino a guardare il pubblico ammutolito.
La reverenza del silenzio e due occhi blu da fermare il Tempo, l’uomo ne sorride dentro, è così da sempre.

L’uomo attende un tempo necessario, con la scusa di permettere che tutti abbiano preso posto, ma si gode il silenzio perfetto ancora per qualche istante.
Poi, dopo un ultimo sguardo veloce alla bambina, parla:
– Miei giovani amici, bisognerebbe dire il mondo solo con le parole dei Poeti, questo pensavo ascoltando il vostro silenzio. Qualcuno ha già detto del tempo che voi tutti siete, ora, della vostra giovinezza, della vostra età illusa. La mia giovane assistente ed io-, e qui fa un gesto delicato ad indicare la bimba quieta – vorremmo tentare un esperimento con ciascuno di voi, fino alle ultime file lassù, i ritardatari impenitenti- e qui qualcuno sorride – ma ogni esperimento che si rispetti richiede un intervento minimo da parte degli scienziati che lo compiono. Questo potrebbe corrompere il suo esito, come se scrivere una storia potesse, dopo la parola fine, cambiare il mondo, per cui la delicatezza di ciò che compiremo qui oggi mi impedisce di darvi ulteriori dettagli, almeno per il momento. –
Nel silenzio perfetto l’uomo continua:
-Faremo un viaggio, insieme, da dove a dove non potrei dirvelo ora, perché lo ignoro, con l’unica pretesa che sia una cosa perfetta e unica, con l’unica regola che è possibile prendere ciò che si vuole, durante tutto il tempo dell’andare, e che non è obbligatorio donare alcunché, e neanche donarsi. Io non credo che siate immuni dal peccato ingenuo della curiosità, e io non sono un vecchio sadico, allora, prima di continuare, lascerei che la mia impaziente e giovane assistente vi faccia le sue personali raccomandazioni, so che ci tiene molto, ascoltatela dunque.-
L’uomo porge un delicato gesto del capo alla bambina che con una serietà irreale si riassetta piano con le mani bianchissime il vestitino di fattura vagamente medioevale, fa un passo in avanti fin quasi a sporgersi dall’orlo della pedana, solleva un po’ il capo, scorre il blu dei suoi occhi come a voler conoscere una ad una le giovani anime, e poi parla:
– Signori, il mio nome è Elettra, ho otto anni, tredici gatti dai nomi segreti e mi piace raccontare delle Storie. Sono anche una Strega, ma questo non posso dirvelo, perciò dovete promettere di dimenticarlo.-
La risata di sollievo, sommessa e partecipata, attraversa come un brivido la platea, un’onda di sollievo a salire ed acquietare il turbamento di quella voce seria che sembra promettere –è tutto vero- senza scampo ormai, la storia inizia, nessuno sarà più lo stesso dopo, questo è il pensiero che si diffonde nell’aria.
Elettra, che ora ha un nome nel mondo, muove il capo a cercare gli occhi dell’uomo e sorride pianissimo, l’uomo annuisce in maniera impercettibile, poi dice:
– Dovete perdonare la nostra giovane amica, essa ha un elevato senso dello spettacolo. Vi ricordo, ed è il consiglio di un noioso saggio, che non siete obbligati a credere in nessuna bugia, soprattutto quando essa sia irresistibile, come ora. Se invece pensate, come me, che quel brivido fosse vero, allora lasciate che Elettra vi dica ancora alcune parole.-
La bambina sembra esitare, come si potrebbe davanti a una verità difficile, poi con respiro risoluto dice:
– Fra qualche tempo dovrò fare un lungo viaggio, e sto preparando la mia valise – e pronuncia quella esse dolce con un vezzo da damigella che strappa una brillante risata necessaria, lunga, stavolta priva di stupore e ricca di abbandono, il pubblico ha deciso di amare il personaggio, tutto intero, senza condizioni. Elettra comprende negli occhi quelle anime che stanno ridendo, se ne riempie fino all’anima e questo le dà la forza di aggiungere:
– Nella mia valise c’è posto per alcuni libri e accessori da strega alla moda, per tutti i miei gatti e i loro segreti, e nel doppiofondo più fondo del fondo voglio metterci una storia per ogni persona che ho incontrato durante la mia piccola vita. Una storia piccola, anche poco importante, un dono. E allora oggi voi tutti mi farete un regalo, che io possa ricordarvi per sempre, nel mio viaggio. Quando mi sentirò sola aprirò la mia valise e accarezzerò uno dei miei gatti scontrosi e rissosi, oppure sceglierò una delle storie che ho ricevuto in regalo e sarò felice. Le bambine devono essere felici, sapete?-
L’uomo ascolta con gli occhi bassi, nel più totale silenzio, ricaccia in gola la nausea di un pensiero urgente, sperando che nessuno si accorga, e spiega:
– E’ il momento di svelarvi che il viaggio che faremo è contronatura, perciò difficile, richiede coraggio e abilità, una buona guida e una fede incrollabile. Spero di avervi sinceramente spaventati, la paura è un momento necessario all’inizio di ogni viaggio.-
Poi si dirige verso la lavagna spezza con le mani il gesso e scrive sul piano nero ancora vuoto:

S=k ln W

Appena il tempo di notare che fra il pubblico qualcuno sta ingenuamente prendendo nota, poi chiede:
– Qualcuno di voi conosce il significato dei segni che ho appena tracciato?-
Una timida ragazza dagli occhiali rossi si schiarisce la voce e dice:
– Dovrebbe essere l’equazione di Boltzmann, la relazione fra l’entropìa esse e l’energia vudoppio di un sistema termodinamico…-
– E’ di certo una relazione, ben detto, giovane amica- dice l’uomo – e il suo significato apparente è che esiste un legame di concorrenza irreversibile fra il grado di disordine delle vostre disordinate stanze da studenti e l’energia che impiegherete per rimetterle a posto. Non ridete, ve ne prego, stiamo solo tentando di aggirare la paura.-
Elettra, nel breve tempo di queste parole, si è mossa verso i segni sulla lavagna, ci è arrivata vicina, minuscola, resta a guardarli seria e compìta, poi con un sospiro si volge al pubblico, assume un’aria da cospiratrice e parla:
– Questa è la Legge della Morte. Le Streghe la conoscono fin da bambine e non la scrivono mai in questa forma presuntuosa che il signor Boltz usava per farsi bello con i suoi amici all’ora del tè.-
E mentre l’incredulità della platea si fa quasi solida la bambina, con l’altra metà del gesso descrive sulla lunghissima lavagna una linea perfettamente rettilinea, da una parte all’altra, e arrivata in fondo, dopo un ultimo istante di esitazione traccia un piccolo segno, che farebbe assomigliare il tutto a una cosa del genere:

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– Questa è la Morte, a volerLa semplificare.-
Difficile dire se gli occhi della platea siano fissi più sulla freccia assurdamente dritta che sembra tagliare il mondo ora, o sulla bambina che ha incrociato ancora le mani sul ventre e attende.
L’uomo si prende la responsabilità di violare il silenzio:
– La mia puntuta assistente ha in effetti semplificato un centinaio di anni di dispute di scienza. L’equazione di Boltzmann riesce a far pesare sul mondo la pretesa che il tempo abbia una direzione e che lungo questa direzione sia agganciato il destino biologico di ogni esistenza, la sua Energia, la Vita stessa, in maniera irreversibile. Ecco perché Elettra ha esitato prima di disegnare la punta della freccia. La Vita scorre in un unico verso irrimediabile verso la Morte. Qualcuno fra di voi, miei giovani amici, potrebbe obiettare che il concetto non appare nuovissimo, è vero, ma lo scienziato Boltzmann si è battuto strenuamente contro l’obiezione che la Vita semplicemente si trasforma e che non è affatto detto che quella freccia sia al posto giusto. Non dimentichiamo che il suo amico Poincaré semplicemente gli chiedeva di aspettare un tempo sufficientemente lungo, perché tutto alla fine si sarebbe ripetuto, anche questo momento, anche la storia che stiamo raccontando. Sapete cosa accadde allo scienziato Boltzmann? Che la sua ostinazione lo spinse a farsi uomo a tal punto da assumersi la responsabilità estrema del suicidio. Il signor Boltz, come lo chiamerebbe la nostra piccola amica, risolse la disputa accademica con una dimostrazione inattaccabile della sua formula. Si uccise. Ora quei segni sono incisi sulla pietra della sua tomba, dove egli riposa, nel cimitero di Vienna-.
La lunga spiegazione dell’uomo ha un effetto paradossalmente rassicurante sulle giovani anime, egli ha il compito di stemperare l’inquietudine dei modi spietati della piccola Elettra, che con naturalezza ha assunto il compito di coscienza vigile di questa storia.
– Le vostre giovani anime sono pronte adesso a che io vi sveli il senso del nostro esperimento. La mia assistente ed io ci serviremo di voi per tentare di invertire localmente il senso di percorrenza di quella retta, non è impossibile, se vi fidate, basta in qualche modo stabilire un punto di equilibrio, un alef a forma di collina sulla quale salire per poter volgere lo sguardo in direzione contraria, come se applicassimo un principio di sana disubbidienza…-
E mentre l’uomo parla, piuttosto infervorato gli occhi di tutti si agganciano ai passi della bambina che ha raggiunto ancora la lavagna immensa, dal lato opposto, per completare il suo disegno che ora apparirebbe così:

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L’uomo si accorge che l’attenzione del pubblico gli è scivolata via dalle dita e tace. Alle sue spalle Elettra sta sorridendo con aria furba:
– Ecco, così è più semplice, mio padre è un uomo piuttosto complicato.-

Il mormorìo di meraviglia per quel piccolo segreto svelato distende ancor più il sorriso della bambina mentre l’uomo abbozza un debole sguardo di rimprovero, come se tutto accadesse per la prima volta, con sorpresa.
Poi, con la netta sensazione di essere più nudo davanti a tutti, dice:
– Il meccanismo più semplice di invertire l’inganno della coscienza, cui diamo il nome di Tempo, è la Memoria. Semplice, quindi. Più difficile è ricordare qualcosa che non si sa di possedere. Questo è il vostro compito, oggi. La ricerca di un ricordo e la sua storia che non sapevate di avere. Affascinante, stimolante, difficile. Quindi vi serve un piccolo aiuto, per quel mare immenso dentro al quale state per gettare la rete.-
L’uomo tace ed Elettra si fa avanti fino all’orlo della pedana, al centro del mondo, quindi con naturalezza recita:

Muchos años después, frente al pelotón de fucilamiento, el coronel Aureliano Buendía había de recordar aquella tarde remota en que su padre lo llevó a conocer el hielo.

Le parole salgono alte, chiare, nette come una lama disegna una nuova faccia al mattino, davanti allo specchio, straniere e familiari, compiute come una storia perfetta.
L’uomo nota ancora che qualcuno sta scrivendo, in fretta, e attende. Poi dice:
– Esiste da sempre una guerra sanguinosa fra la linea retta e il cerchio, fra il terrore dell’infinito e la rassicurante morbida rotondità del ritorno che chiude il tempo su sé stesso. Le civiltà più antiche ci hanno girato intorno, per così dire, con paura, la setta dei Pitagorici inventò un numero spaventoso a far da porta fra questi due mondi inconciliabili, i Maya aggrovigliavano calendari sfasandoli secondo leggi indecifrabili per impedire che il Tempo riagguantasse la sua stessa coda, in un giorno futuro. Gli scrittori che scrivono storie, invece, si arrangiano come possono. L’inizio della storia che Elettra vi ha raccontato contiene un mondo. Il punto di partenza è imprecisato e viene sfasato immediatamente, per paura, in un istante preciso: “molti anni dopo, davanti al plotone d’esecuzione”. La storia inizia e si spinge immediatamente fino alla sua stessa fine. C’è un uomo davanti a quei fucili, quell’uomo ha un nome, e ogni nome è di per sé stesso una storia, una vita. Quell’uomo è arrivato al bordo estremo di quella retta spietata. Un istante prima della parola fine. E corre ai ripari, si ribella per sempre alla legge del tempo. Quindi ricorda. Inverte il meccanismo con un atto di pura volontà, si riappropria di ciò che gli appartiene, il ricordo più importante che possiede. E si ricorda “di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo ha condotto a conoscere il ghiaccio”. Hielo, in un mondo fatto di sole eterno il ghiaccio è un assurdo, è impossibile che esso esista, gli zingari lo hanno portato da lontano. Il padre prende per mano il piccolo Aureliano, e, sempre tenendolo per mano, lo conduce a toccare quel cristallo bruciante, fumoso, scintillante, che non deve, non può esistere.-
Elettra si è portata vicinissima a suo padre, e con un gesto che racchiude tutta la purezza immacolata dei suoi otto anni pone la piccola mano dentro a quella di suo padre, a cercare riparo, e infine, con voce da bambina dice, quasi con timidezza:
– La Storia che voglio in regalo da tutti voi è il vostro episodio del ghiaccio. Il ricordo che non avete ancora ricordato, la mano stretta nella mano del padre, e ciò che accadde quel giorno. Per me, scriverete questa storia?-

Questa, di storia, sta scivolando lenta verso la fine, e lentamente arretrando lo sguardo e la coscienza a spirale verso l’alto si potrebbe vedere l’attesa di Elettra, e il capo chino delle giovani anime intente al gioco del ricordo, e poi una lunga processione a consegnare tutte quelle minuscole storie scritte con cura minuziosa, tutte diverse, e i foglietti di carta passare di mano in mano con la bambina seria e felice, e i suoi occhi blu a mormorare un grazie fissandosi per un lungo istante negli occhi di ciascuno. Alla fine ognuno avrà il suo tesoro da portar via, o almeno un piccolo ricordo, le anime giovani con l’esperienza del tempo inverso, la piccola Elettra con le storie del ghiaccio per il suo lungo viaggio, l’uomo, infine, con la mano stretta della bimba nell’andar via.

Il sole rimarrà alto per un po’ nel cielo sopra alla cittadella, apparentemente immobile, quasi a voler abbandonare la strada immutabile degli astri e il loro destino.
Poi tutto riprenderà a scorrere, senza rimedio.