-Qui finita è la terra- è il pensiero dell’uomo nel momento in cui i piedi nudi affondano nella sabbia nera d’argilla e accettano il contatto di quella nuova, ultima, madre terra.

Il giunco fragile alle sue spalle riprende il mare col favore di un’onda benevola e si perde in breve al largo come un pensiero mai avvenuto.

L’Isola è terra di solitudine, senza l’alibi delle terre promesse, senza l’illusione delle chiare acque delle oasi, i vulcani sono spenti, esausti di storia, gli animali estinti, se non fosse per qualche orgogliosa razza di formiche verdi sempre in guerra, gli alberi spariti, gli uomini affogati in mare, cannibali, infine suicidi.

L’uomo è solo. L’uomo è l’ultimo uomo, di quella terra e di se stesso.

Il cofano delle cianfrusaglie trascinato all’ombra del gigante di pietra, l’uomo siede e riposa. Le facce di tufo nero rimaste guardiane dei secoli sono allineate tutte a una latitudine segreta, una disciplina cosmica di obbedienza, di devozione, ma quel mistero non tocca l’uomo. Non quello.

Una, solo una lo interessa. Sapeva di quell’unica eccezione. Una sola si staglia nell’aria di vetro, di traverso alle altre, a sfidare, interrompere la legge, a guardare un orizzonte altro.

La raggiunge, poco lontano, fissa lo sguardo  all’orizzonte vuoto del mare, sperando in una rivelazione, nell’intuizione del segreto. Nulla. Se il segreto esisteva, pensa, ora non è più il tempo.

L’uomo osserva ancora a lungo quella pietra posata di sbieco, pensa alla solitudine dentro alla solitudine, alla incomprensibilità, alla unicità, pensa alla ostinata diversità incarnata in quella pietra.

Poi si siede a terra accanto al cofano, lo apre, guarda. Bottiglie verdi, minuscole, numerose, fogli di carta sporchi di parole, cianfrusaglie di vita.

L’uomo attua un rituale prevedibile, sfiora con le dita e il ricordo due fogli carichi di storie, li piega, li infila in una delle bottiglie che poi sigilla con cura, infine si avvia verso la riva spumosa dell’Isola.

-Sarebbe tutto così semplice- è il pensiero dell’uomo, mentre si inarca, tende i muscoli e il braccio all’indietro, mentre il pensiero disegna la bottiglia che compie un arco nell’aria di vetro e si allontana al suo destino.

Ma l’Isola ha un’altra legge, di solitudine, disobbedienza, di razze estinte, di silenzio. Con la coda dell’occhio l’uomo si accorge ancora del monito di quell’unica pietra di traverso, incomprensibile, perfetta. E il gesto si smorza, di una volontà che cede e un’altra che prende il sopravvento.

L’uomo torna alla base del gigante di pietra, fa una buca profonda con le mani, depone la bottiglia, la ricopre con la terra necessaria a dimenticarla. Infine si siede a terra, a guardare verso il mare, il cielo vuoto, ad ascoltare il silenzio, di spalle al gigante traverso.

L’uomo pensa che la vecchia pietra sorrida, ora, di qualcosa che non è dato sapere.