Pie’ ha appena frunutu di fatigare. E’ stanco. Due viaggi di sterro con quel cazzo di camion che è dei tempi della guerra, poi la coppa dell’olio da sistemare, che il sibilo del freno sul bestione è il suono differenza fra la vita e la morte. Sottile. Con le dita nere s’appiccia la ventiduesima sigaretta, a pacchetti da dieci gli viene meglio contare.

Pie’ conta la vita a giorni, studia Ingegneria Meccanica e le sue vacanze da fighetto consistono esattamente nel farsi il culo aggrappato allo sterzo di quel 190 blu, che se dovesse dire direbbe proprio che blu è quel colore lì, non il mare, o la pace o una cazzo di sfumatura di paradiso. No.

Uno squicciolo di fatica per pagarsi le tasse dell’università e davvero poco altro, due lire che non bastano alla coscienza per svegliarsi tranquillo al mattino, sapendo che la differenza la paga il padre, lassù sul bestione, io l’ho visto il padre di Pie’, non parla mai e tira su i sacchi di cemento da mezzo quintale con una mano. Chissà se li conta.

Pie’ infila il portone del suo palazzo, s’imbocca aria fresca, pulita, pensa all’acqua calda, al rasoio a lama da affilare sul palmo, poi un po’ di musica e il sonno dopo il vino. Azzanna di fame qualche pensiero segreto. Poi, scorge un’ombra in fondo allo scuro, un fruscìo e un bisbigliare sommesso. A lato del sottoscala, zona cassette delle lettere.

Pie’ pensa a qualche vastaso che prepara scherzi da vastaso. Il palazzo è di gente giovane, i figli sono un bene prezioso in queste terre e lo schiamazzo per strada è suono che addormenta i pomeriggi d’estate. Si gioca a pallone, alla guerra, si dà la caccia ai gatti. Cose da vastasi insomma. Ma. Non questa volta.

Dall’ombra emergono quattro figure frettolose. Appena più che adolescenti e già addobbati da adulti, il custume grigio le scarpe strette la cravatta sbagliata. E sotto il braccio un pacco di volantini colorati con su stampata un’allegra faccia di cazzo colorata a cyano magenta. Un sorriso un voto. Il partito vende nostalgia, che Pie’ lo sa della maglietta nera sotto la camicia portata con orgoglio, li ha visti altre volte lì in giro. Il partito regala promesse, sogni di gloria, fica , e pezzi di plastica argento che trilla. Vanno di fretta. E non c’è motivo. Strano.

Pie’ li conosce, potrebbe dirli uno a uno dai peli della barba, li ha visti bambini. Poi qualcosa ha smarrito se, a tornare dalla città li trovava ogni volta più ombrosi, lividi, schivi al saluto, e la puzza di cattiva coscienza che si mormora in giro, qualche rissa tanti contro uno a sentirsi gente di nerbo, robe da ragazzi forse, che si crescano un’anima nera dentro forse, ma ragazzi che a sperare nel cielo forse poi, un lampo, cazzo. E’ roba fresca di due giorni, sarebbe passata via, ma invece ora è lì.

Pie’ se lo ricorda in un lampo del racconto della madre.

– Hanno spintonato tuo padre, stava ritirando la posta, e leggeva di quei volantini, sai com’è tuo padre, lento. Leggeva e uno di quelli glielo ha strappato dalle mani, dicendo che quella è mala gente, poi la faccia giusta, da portare a casa, con una pacca sulla spalla. Tuo padre lo teneva stretto in pugno quel pezzo di carta. Lo sai com’è tuo padre.

– Si, ho capito. – fa Pie’.

Doveva finire li’. La madre di Pie’ ha una bellezza contadina da struggere il cuore, ne avrebbe parlato lei, con le altre madri. Il governo del mondo, in queste terre passa anche da qui. E Pie’ ama sua madre. Adesso però la storia è capitata ad una svolta sbagliata. Una questione di centimetri, o di istanti, che a volte è lo stesso.

Se ci fosse più tempo si potrebbe aspettare che Pie’ faccia la sua strada verso le scale e il riposo, se ci fosse un minimo di spazio si potrebbe passare di fretta e filo al muro. Ma è sfiga stavolta.

E’ a provarci a essere uomini che si fa quasi sempre la cosa sbagliata.

Perché il più anziano di quei bimbi che fanno la corsa a crescere, che studia da capo, inculo alla paura che a volte lo prende alle viscere davanti allo specchio, lui, fa la cosa sbagliata. Carisma lo chiama, che di parole che fanno paura se ne tiene poche, che la scuola non serve a un cazzo, carisma, vuole usare il carisma.

E si fa grande con la voce da grande.

– Ciao Pie’, sei tornato dalla città. –

Senza punto di domanda. Ed è un altro sbaglio.

– Si, guagliò, da mò. –

– E giusto te cercavamo, no guagliò? –

Autorità e domande sbagliate.

– Ti volevamo presentare un amico, se tieni un poco di tempo. –

Autorità e volontà, il ragazzo sta andando come un treno.

– Un amico vostro guagliò?-

– Uno giusto Pie’, viene dalla città, si chiama Luigi Confalone, gente di squillo, tiene il comizio in piazza, noi siamo allo staff.-

Ora, io Pie’ lo conosco, siamo fratelli da quando lo conosco, e lui aveva dieci anni, ed è dura da credere ma stava già su una ruspa, stava su una ruspa e tirava su della terra fresca. Lui da solo. Dieci anni. E allora me lo sono preso come fratello, proprio in quel momento. E io lo conosco. E lo so che non vorrebbe. Perché Pie’ è buono, ma buono davvero. E lui non vorrebbe.

– Mò signu stancato guagliò. –

Il tono è brutto parecchio, se ne fotte del carisma Pie’, che ha le braccia grosse e le mani dure da lavoro. Dovrebbe bastare, quel tono. E invece.

– E iiamu, Pie’. So’ cose importanti. L’atru juornu l’avimu dittu puru a patritta. (*) –

Eccolo l’ultimo sbaglio. Ora se ne accorge anche lui, ma oggi è giorno di sfiga, quindi ormai è tardi.

La mano di Pie’, grossa, sporca di olio nero minerale fetente si posa con una delicatezza irreale sulla camicia candida del ragazzo, poi spinge, sempre con delicatezza sembra, ma quando le spalle del ragazzo toccano il muro alcune ossa crocchiano, e il fiato per un lungo istante va via. Finchè arriva il dolore. Niente di più.

– Mò signu stancato guagliò. –

Sulla camicia candida resta l’impronta nera della mano di Pie’. Che a vederla così fa quasi sorridere, sembra innocua.

Ho stretto quella mano stamattina, quando Pie’ ha rimesso piede in casa, la conosco quella mano. Mi fa sentire sicuro. Poi, stasera a cena mi ha raccontato una storia. E si vede che ancora gli brucia. Ma va bene così.

Alla radio intanto davano musica rebelde.

*suvvia Pie’, trattasi di cose di una certa rilevanza, pure l’altro giorno, invero, ponemmo la medesima questione a tuo padre