Narkiss

La bambola ha la bocca intagliata d’ebano delle donne che si muovono fragili al limitare di un confine.

Se vi riesce di guardarla abbastanza a lungo negli occhi, e attraversare il primo velo blughiaccio d’indifferenza proprio del diamante grezzo, e il secondo velo che è guscio d’ambra di estinte caste egizie, e se ancora siete vivi da svelare il terzo velo che è sempre apparenza di pianto, ma pianto solenne, pianto di angeli traditi, se ancora non vi basta, se.

La bambola va guardata, spiego, con l’idea che, da qualche parte, la Morte non abbia corona né regno. Difficile dite? Difficile è credere a ciò che ho visto. Per questo esiste il narrare.

La bambola parla, e conosce in anticipo. Il principio e la fine, e il loro coincidere ai bordi del vostro personalissimo esclusivo abisso, che sia dorato e a cinque stelle non importa, perché

La bambola sorride e vi prende la mano, e quel gesto è già, di suo, una nuova ruga che porterete nel palmo, per un tempo che somiglia a un’idea imperfetta di eternità.

Narkiss la bambola non muore d’amore, non illude, non uccide. Questo è legge. Qualcuno racconta di averla vista aggrappata alle carni e all’anima del suo assassino, gridava d’amore, quello disperato, quello di tutti, quello che vale la pena. Qualcuno racconta di averla vista leccarsi le lacrime via di dosso, e tornare ad amare ancora così, d’unghie spezzate e promesse infrante. E amare per sempre.

Ma è un racconto di mille anni fa, e io non ricordo più bene, e il mio narrare mi pesa, alla notte.

Narkiss la bambola ha seni d’uva rovente

ma questa è un’altra storia.

 

Ci sono lingue immaginarie, immaginate,
ci sono parole che non riescono a dire,
c’è un tempo che accetta accanto solo la parola -necessario-,
ci sono inferni da due soldi.
e regine.

 

 

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